“Fare ricerca” su un tema multidisciplinare – intervista al prof. Rudi Gobbo

Nel mese di gennaio e febbraio le nostre collaboratrici didattiche Marta e Erica hanno lavorato con i ragazzi della classe 3^ D della scuola secondaria di I grado di Trebaseleghe: una delle dieci classi con cui siamo riusciti a concludere il percorso in presenza, prima di attivarlo in modalità di didattica a distanza. I ragazzi e le ragazze hanno portato avanti delle ricerche su alcuni scienziati e scienziati, le loro storie e le loro scoperte: da Marie Curie a Srinivasa Ramanujan, da Alan Turing a Rita Levi Montalcini. Abbiamo intervistato il prof. Rudi Gobbo, che ha seguito con noi il percorso, per conoscere meglio le sue impressioni sul progetto (e sulla didattica a distanza!).

È passato ormai qualche mese dall’ultimo incontro del progetto “Fare ricerca, mai così facile” con la sua classe. Da allora, ci sono state occasioni (online o offline) di riprendere spunti lasciati durante il percorso?

Sì, in questo periodo di didattica a distanza ho proposto ai ragazzi la creazione di una presentazione su altri scienziati rispetto a quelli affrontati in classe durante il percorso “Fare ricerca”. Forse non tutti sono consapevoli dell’importanza degli spunti lasciati dal progetto, ma spero che possano essere marcia in più nella preparazione di un buon elaborato finale, che quest’anno addirittura sostituirà le altre prove d’esame alla scuola secondaria di I grado.

Ripensando agli incontri svolti in presenza, quanta sovrapposizione c’è stata tra i contenuti proposti e la didattica curricolare? Ci sono temi che avrebbe affrontato ugualmente o temi che invece ha trovato utile fossero affidati a un percorso extracurricolare?

Nel mio caso specifico includo nella didattica curricolare una parte di storia della scienza, perché torna poi anche utile in sede di colloquio interdisciplinare d’esame. Quest’anno ho optato per far sovrapporre la trattazione della storia della scienza al progetto “Fare ricerca”. Il fatto che questa parte della programmazione sia stata affrontata con esperti esterni nell’ambito di un progetto a sé ha anche caratterizzato il percorso come una parentesi multidisciplinare (considerata anche la partecipazione della docente di lettere), con una valenza particolare nell’ambito della formazione per una visione interconnessa delle discipline. Il fatto stesso che certi argomenti scientifici fossero affrontati con docenti non di formazione scientifica ha aggiunto un plus al progetto.

Qual è, più in generale, il contributo che possono dare gli esperti esterni, secondo lei? Meglio persone molto formate oppure collaboratori vicini per età e esperienze agli studenti?

Gli esperti esterni hanno un ruolo fondamentale nella comunità scolastica, specialmente per ragazzi di terza che affrontano importanti scelte in merito al loro futuro perché offrono modelli di persone con le quali potenzialmente identificarsi e scardinano l’idea del docente curricolare come depositario della sapienza riguardo a una specifica disciplina. I migliori esperti esterni sono per me quelli che hanno passione per quello che fanno e che hanno quella magica abilità di trasmetterla: immagino si tratti di una forma di empatia che sfortunatamente non è misurabile come i titoli o altri parametri (età, esperienza, titoli) ed è quindi difficilissimo riconoscere a priori un buon esperto esterno.

In questo momento prepotentemente la didattica a distanza ha sostituito quella in presenza e in molti casi non c’è stato il tempo per un preliminare affiancamento e un’integrazione tra le due modalità. Come sta andando con i suoi studenti? Pensa che per renderla più efficace sarebbe necessario lavorare sulle competenze tecniche (conoscenza degli strumenti), sulla dotazione informatica oppure sulle competenze trasversali, come l’autonomia organizzativa o il pensiero critico?

Purtroppo sono tra chi ritiene che per rendere più efficace la didattica, anche quella a distanza, servirebbe a monte una valorizzazione della formazione e della scuola. È difficile che uno studente investa tempo e risorse, trovando una valida motivazione ad apprendere, se vede raggiungere posizioni di prestigio o di notorietà anche da persone poco competenti o vuote. Se i laureati italiani, i ricercatori, ricevessero il giusto riconoscimento sociale ed economico, tutto il sistema dell’istruzione ne beneficerebbe perché avremmo molti più studenti motivati a far fatica per conseguire un risultato soddisfacente. Mi è capitato spesso di sentire ragazzi che ritenessero un percorso liceale o universitario troppo lungo, faticoso e addirittura infruttuoso e essere preparati per un lavoro così da “iniziare a guadagnare presto”. La didattica a distanza di questo momento non fa altro che accentuare la differenza tra chi fa per forza e chi fa perché crede nella sua formazione. Penso che per renderla più efficace, non potendo agire a livello macro, si debba puntare sulle competenze automotivazionali.

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